Di Jannacci ÿ importante anche la faccia. Stupita, ipotetica, malinconica, seria anche quando fa ridere, tagliata da quegli occhi socchiusi, da quello sbattere di palpebre che ÿ elemento scenico esso stesso. E poi la sua gestualità , la sua schiena dritta, la mano in tasca e quell'altra in avanti... Ed ora eccolo in scena, il dottore: un palcoscenico blu scuro e nero, ed in mezzo i suoi capelli bianchi, ondulati, i suoi occhiali con la montatura identica da decenni. Lui, una sedia da usare ogni tanto e dei signori musicisti. Primo - alla destra del padre - Paolo Jannacci: al piano, alla fisarmonica, al sorriso pieno quando Enzo lo fa ridere. E fuori la Milano che Jannacci ha raccontato, amato e poi chissà . Lui zigzaga fra le linee melodiche dei brani, fa cabaret senza quasi farsene accorgere, ballicchia, si perde e si trova. Improvviso, improvvisa. Vien fuori il lato di raccontatore, di vero attore, che però non recita. Un grande attore che non recita - sì, son proprio cose da Jannacci.