Sergio stanotte compirà trent'anni. Era tanto che non saliva in sella a una bicicletta: esattamente dal momento in cui una caduta ha mandato in frantumi il suo ginocchio sinistro insieme a tutti i sogni che inseguiva fin dall'infanzia. Da quel giorno ha scelto di lasciare da parte ogni illusione e abbandonarsi a una vita fatta di emozioni ordinarie, rimpianti sempre più sbiaditi e amori vissuti a metà. Ma forse tutti questi anni sono stati solo l'attesa inconsapevole di questa nottata; l'istante in cui ogni cosa sembra finalmente ritrovare la giusta dimensione mentre, pedalando nel cuore della notte verso l'ultima pagina del romanzo, i ricordi scorrono nella sua mente come chilometri di una lunga corsa su quella bicicletta che ha tanto amato. Un romanzo incentrato sulla figura di un protagonista tormentato e contraddittorio, forte e fragile
al tempo stesso. Fra le ombre di Simenon e le quotidiane illusioni di John Fante.
Roberto Bonfanti si colloca tra Paolo Giordano e Fabio Volo dai quali attinge location, sentimenti e sensazioni. Lo stile narrativo non è prolisso, ma nei numerosi passaggi introspettivi è spesso contorto e ripetitivo. Ad appesantire alcuni passi (come fossero le salite care al protagonista Sergio) ci si mettono anche fastidiosi errori grammaticali che possiamo comunque perdonare all'editore Falzea. Un romanzo a tratti poetico e suggestivo, come solo il ciclismo che descrive e racconta sa essere; memorabile quando a pagina 97 l'autore scrive: "In fondo credo che ognuno sia libero di scegliere di perdere a modo suo: c'è chi si ferma ad aspettare il gruppo, raccontandosi che ci saranno momenti migliori e c'è chi invece ha bisogno di aggrapparsi con tutto se stesso a quegli ultimi istanti, assaporando fino in fondo gli ultimi metri di illusione, anche a costo di bruciarsi definitivamente". Sergio stava raccontando ad Irene, ex compagna di liceo, un tentativo malriuscito di fuga ad un Giro d'Italia degli anni '90 quando Michele Coppolillo voleva insistere nell'azione e così fece, mentre Gianni Bugno preferiva risparmiare le energie e si lasciò risucchiare dal gruppo. Entrambi sapevano di non avere alcuna speranza di vittoria. Nonostante la magia di questo sport scandisca la vita del protagonista, sorprende la mancata citazione delle gesta del più grande scalatore di tutti i tempi: Marco Pantani. Se Sergio, alter ego di Roberto, è uno scalatore puro perché lo scrittore non ricorda le epiche vittorie del grimpeur romagnolo? L'amore per le Classiche di Primavera non può offuscare le Imprese al Giro e al Tour di colui che ha avvicinato al ciclismo anche i più scettici e con la cui morte è finita un'epoca! Per questo e per un finale amaro, inatteso, incoerente, negativo e poco educativo mi limito alla sufficienza. Peccato, avrebbe potuto essere un romanzo migliore.
Anonimo - 19/07/2010 20:47