La storia di tre generazioni della famiglia Hinner, che dalla Germania di Hitler arriva all'Italia dei giorni nostri. A parlare è Hilde, testimone della sua stessa esistenza, ribelle inerte nel mondo progettato dal padre, dai padri. La sua voce, ora laconica ora straripante, narra ottant'anni di vicende private intimamente intrecciate al Novecento, "all'alba dei grandi magazzini", al turismo di massa, all'ossessione del corpo. Fino a innescare un cortocircuito che fa esplodere il nostro presente, denudandolo come mai prima era stato fatto. Se "I Buddenbrock" ripercorreva la decadenza di una famiglia tedesca dell'Ottocento, "La gemella H" non può che registrare il giornaliero "assecondare il flusso di eventi travestiti da soldi" di una famiglia ossessionata dai beni e compromessa con il Male. Decisa a dimenticare, pur di salvarsi.
La nostra recensione
La storia della famiglia Hinner comincia a metà degli anni Tranta con l’acquisto a prezzo stracciato della villetta di una coppia di giovani ebrei costretti a svendere e a fuggire, proprietà poi rivenduta prima della fine della guerra a un prezzo molto superiore. Su quel gruzzolo di marchi, gravati da un’infamia in fondo di poco conto, l’ambizioso e intraprendente Hans Hinner costruisce il benessere della sua famiglia senza che la colpa venga a offuscarne minimamente il futuro. È Hilde a prendere la parola, ma la sua voce si mescola alla narrazione neutra dell’autore e a quella della gemella Helga fino a diventare una voce sola e a riunire il doppio nella “gemella H”. Con pochi lucidi secchi tratti Giorgio Falco descrive la piccola comunità di Bockburg da cui prendono il via le vicende della famiglia Hinner, dall’adesione al nazismo scaltra e opportunista (più che ideologica) fino all’esilio in Italia, prima a Merano poi sulla riviera adriatica, passando per la Milano del dopoguerra, della ricostruzione, della Rinascente e delle prime luci consumistiche. Falco è talmente bravo nel maneggiare la sua storia e la Storia che riesce a raccontare il nazismo sfiorandolo appena (i cani della famiglia sempre di nome Blondi, le autostrade veloci del Reich, le macchine di lusso, i cinegiornali), e ne evoca il dramma facendo della pensione aperta da Hans a Milano Marittima il luogo dove affluiscono frotte di tedeschi (e di italiani) desiderosi di dimenticare quello a cui avevano partecipato e quello che avevano finto di non vedere. Così Falco tratteggia con precisione e sicurezza anche l’Italia immatura sputata fuori dalle fauci della guerra, e quegli italiani “piccoli piccoli” che sgomitano l’uno accanto all’altro per un posto al sole. La quotidianità della famiglia Hinner (le famiglie in letteratura sono delle splendide magie narrative) si fa metafora dell’incubo consumistico delle generazioni uscite dalla guerra, in una lotta disperata per affermare la propria presenza nel mondo in cerca di assoluto, al là del bene e del male, in realtà cinicamente concretamente disciolte nel bene e nel male. Antonio Strepparola