La città degli inconsolabili esiste e prospera forse davvero in un angolo d'Europa non troppo lontano, non troppo diverso da quelli che conosciamo. Nel suo stemma non campeggiano il grifo, il giglio o la croce, ma piuttosto il malinteso, la distrazione e l'ineluttabile. All'inizio tutto sembra essere soltanto una bizzarra forma di amnesia: assistiamo all'arrivo di un famoso pianista, Ryder, in un albergo della città e ci assale il dubbio vertiginoso che quell'uomo non abbia passato. Mentre un facchino pieno di idee lo accompagna alla stanza che gli è stata assegnata, Ryder prende atto con un'imperturbabilità appena venata d'ansia di non saper quasi nulla del soggiorno che attende. Il programma, amuleto magico che regola la vita delle personalità come lui, è andato smarrito. Eppure Ryder, probabilmente, è già vissuto in quella città, forse lì c'era una donna che l'aspettava, addirittura un bambino. Ma perchè Ryder ha dimenticato? E perchè tutti sembrano aspettarsi da lui una parola definitiva, un giudizio di salvezza o una condanna? Ryder, inconsolabile tra gli inconsolabili, è destinato a prometere e non mantenere; non sa rifiutare un aiuto a nessuno, ma nessuno ne trarrà conforto. Dopo Quel che resta del giorno, allegoria della nostra vocazione di "maggiordomo" di poteri lontani, Ishiuro disegna qui un universo malinconico e labirintico, in cui basta un colpo di tosse a far fallire una riconciliazione e le cui chiavi di volta sono il mistero e la sconfitta. E malgrado ciò anche contro le evidenze più dolorose, la speranza non scompare dalla città degli inconsolabili. Perchè potrebbe sempre succedere che "una corda si spezzi all'improviso e uno spesso sipario cada a terra, rivelando un mondo pieno di luce e di calore".